Roma, 25 maggio 2017 – Affaritaliani.it
Ci sono un paio di cose che vorrei dire alla famiglia Regeni, sperando di non turbare troppo la loro sensibilità o di non riaprire ferite ancora fresche.
La prima cosa: persistere nella convinzione che non inviare ii nostro ambasciatore al Cairo sia uno strumento di pressione, risolutivo per giungere alla verità sulla fine del povero Giulio, è errato.
Una Ambasciata zoppa è semmai la garanzia del contrario: che l’interlocuzione con la controparte non potrà che essere debole se non inesistente, che i rapporti tra i due paesi saranno d’ora in poi limitati a meno che la ordinaria amministrazione.
Come ci si potrà muovere senza ambasciatore ad esempio, se si volessero intraprendere strade nuove per uscire dallo stallo prolungato in cui ci si è infilati o se il governo italiano volesse mettere in campo una iniziativa diplomatica più robusta e determinata nei confronti di Al Sisi?
O se ad esempio, per la soluzione della controversia venisse individuato, come per i due fucilieri di Marina in India, un foro terzo di confronto?
D’altronde il richiamo dell’ambasciatore, nel rituale della diplomazia, è sempre stato un provvedimento di carattere temporaneo, volto a sottolineare la estrema gravità di un comportamento più che a costringere, nel tempo, a modificarlo. Neppure la statistica di casi precedenti pertanto potrà avallare la bontà di quella che è una vera e propria scommessa al buio e che limita fortemente le possibilità di successo più che agevolarle.
Suggerirei inoltre ai coniugi Regeni di diversificare l’interlocuzione con il mondo delle istituzioni, non limitandolo all’ambito politico.
Siamo in campagna elettorale con l’aggravante di essere in Italia, un paese in cui il meccanismo del consenso interno gioca un ruolo spropositato rispetto alle convinzioni di ciò che è giusto o sbagliato fare. Se quindi vi è una promessa pendente che Il Cairo non avrà il nostro ambasciatore finché la verità non emergerà, nessun fatto nuovo potrà modificare tale atteggiamento, ne’ nell’interesse per la verità, magari da perseguire per altre vie, né tantomeno a beneficio dell’interesse nazionale, che non va comunque dimenticato.
Perché ad esempio su questi argomenti non confrontarsi anche con esponenti di vertice della diplomazia, non influenzati da interessi di parte, più che mettersi nelle sole mani di chi è comprensibilmente troppo attento al consenso elettorale?
E già che ci siamo, un altro consiglio non richiesto. Che riguarda l’Università di Cambridge.
La determinazione mostrata finora nei confronti dell’esecutore materiale del delitto, l’Egitto, avrebbe dovuto, con più valide ragioni, essere profusa nei confronti della Gran Bretagna, ovverosia il mandante, conferendo a questo termine il solo significato datogli dal participio del verbo mandare.
Infatti, se i principi ispiratori della giurisprudenza britannica non dovessero discostarsi da quelli alla base delle nostre leggi, scopriremmo che anche i sudditi di Sua Maestà, prima di essere inviati in missione “di studio” fuori dei confini nazionali, dovrebbero essere esaustivamente edotti sui rischi connessi, intervenendo, se del caso, con misure cautelative di sicurezza, intese a preservare l’incolumita’ del dipendente.
In caso contrario la leggerezza e la superficialità del management verrebbero sanzionate con il rigore non trascurabile che la legge prevede.
Dunque, sono state adottate tutte queste precauzioni nei confronti di Giulio Regeni prima della sua partenza? E perché la giustizia britannica se l’è cavata con una risposta spiccia, generica e “de relato” alla rogatoria italiana, anziché consentire un doveroso approfondimento?
Questione ancora più grave se si considera che, nonostante la tragica fine di Giulio, qualcuno in Gran Bretagna ci avrebbe “riprovato” con un altro studente italiano di lì a pochi mesi, per una missione dello stesso tipo, sempre in Egitto. Fortunatamente il ragazzo, grazie ad un provvidenziale consiglio, ha posto all’università condizioni cautelative che non sono state accettate, e la missione è saltata.
Allora, tutto questo non meriterebbe un atteggiamento più coriaceo verso “i mandanti” da parte del governo e della giustizia italiani, che in altre occasioni hanno subissato paesi anche di maggior rango con rogatorie a non finire? E siamo sicuri che il tracciamento della gestione di queste attività di studio si fermi al mondo accademico britannico?
In definitiva, chi non si da per inteso rispetto al desiderio di verità di due genitori distrutti dal dolore, il minimo che possa meritare è di essere incalzato senza tregua in tutte le sedi, istituzionali, legali e mediatiche. Ed in questo senso, la pista britannica ad oggi non sufficientemente battuta, potrebbe riservare non poche sorprese oltre ad appagare in parte le giuste aspettative dei genitori di Giulio ed evitare che qualche altro povero ragazzo cada nella stessa trappola.
Gen. Leonardo Tricarico
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