Roma, 21 aprile 2017 – Affaritaliani.it
Quella che sembrava pazienza – la stessa pazienza che ha tenuto insieme Grecia e Turchia in perenne conflitto tra loro – si è rivelata inequivocabilmente ignavia: un’ignavia colpevole, prolungata e resistente ad ogni stimolo. Stiamo parlando della NATO, un sodalizio che assiste ormai sempre più inerte e muto alle tragedie che, sanguinose come non mai, sconvolgono intere collettività, nazioni e comunità religiose. Come ci si è potuti ridurre ad un’alleanza che continua ad ammuffirsisi in rituali stantii, degni di una guerra fredda 2.0, giustificati con la minaccia di un paese e di un presidente – la Russia e Putin – che oltre a non aver la minima intenzione di invadere i suoi ex alleati del Patto di Varsavia, contano su una forza militare pari ad un decimo di quella USA e su un budget della difesa inferiore a quello della sola Gran Bretagna? Purtroppo, nonostante “uno vale uno” sia un principio fondante dello stare insieme, nei fatti così non è; gli Stati Uniti, in quanto azionisti di maggioranza, hanno tramutato in prepotenza questa loro condizione, declinandola in una perentoria quanto inaccettabile potestà di indirizzo dei comportamenti collettivi. Lasciava nutrire qualche speranza il presidente Trump, quando, in una delle prime dichiarazioni pubbliche, definì la NATO obsoleta. Un aggettivo eccessivo, ma che rendeva bene l’idea dell’attuale stato delle cose e che alimentava la speranza di un mutamento di rotta, magari con la perentorietà propria del personaggio. Poiché Trump coniugava le dichiarazioni sulla Nato con la più volte manifestata intenzione di restituire un ruolo negoziale a Putin, non era infondato contare su mutamenti di assetto sostanziali e su una nuova visione condivisa delle turbolenze in corso, un passaggio indispensabile per ristabilire equilibri accettabili. Invece nulla, almeno per ora. Anzi semmai nuove turbative che, per quanto intese a far percepire in maniera plateale e rumorosa un ruolo statunitense che in realtà è in progressivo appannamento, non vanno nella direzione della distensione e del recupero della centralità della NATO. Quest’ultima dovrebbe piuttosto essere stimolata ad incamminarsi su due percorsi fondamentali: il primo, volto a mettere a fuoco una volta per tutte la sua missione, quella di individuare il vero nemico (non è difficile!) e di riappropriarsi del ruolo completamente sfuggitole di mano di monopolista nell’uso della forza al servizio della collettività internazionale, interpretata dall’ONU, magari anche esso in una veste più rispondente ai nuovi rapporti di forza internazionali e non agli equilibri post seconda guerra mondiale. E’ questa l’unica maniera a portata di mano acche’ l’impiego dello strumento militare non si traduca definitivamente in una indiscriminata e diffusa opera di macelleria, con prospettive ancora più preoccupanti laddove si ricorra ad armi di distruzione di massa non convenzionali. E veniamo al secondo punto. A prescindere da una nuova collocazione, la NATO dovrebbe mettere a punto una nuova dottrina di impiego della forza, smettendola di intercettare bombardieri russi nel mar Baltico o di immaginare esercitazioni, anche su vasta scala, ritagliate su scenari inesistenti o altamente improbabili, e dunque che non servono a niente. Non si possono lasciare soli i paesi membri nell’impegno di trovare formule più giuste per gli scenari asimmetrici e l’utilizzo più efficace di sistemi d’arma sempre più sofisticati. Di questo i tre generali del vertice di staff presidenziale dovrebbero convincere Trump, ammesso che essi stessi se ne convincano. Su questo dovrebbe lavorare la diplomazia, specialmente quella dei paesi amici come il nostro; il resto è per ora solo rumore, associato ad una diffusa quanto angosciante percezione del “tanto tuonò che piovve”.
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