Afghanistan, Stato Islamico e sicurezza internazionale
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Nelle ultime settimane molta attenzione è stata dedicata alla situazione in Afghanistan, un Paese che per 20 anni è stato sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti e della NATO, ma che con il ritiro di questi ultimi si è trovato fragile e indifeso (sia dal punto di vista politico-istituzionale e militari, sia economico e sociale) di fronte al ritorno dei Talebani che nel giro di poche settimane dall’annunciato ritiro delle forze statunitensi e della coalizione hanno in pratica riconquistato l’intero Paese. Tale situazione ha chiaramente riacceso diverse riflessioni sul ruolo dell’Afghanistan nel quadro della sicurezza internazionale e del terrorismo. Benché sia troppo presto per poter delineare con precisione quali possano essere le conseguenze di un Afghanistan fuori dalla sfera di influenza occidentale e nuovamente in mano ai Talebani, tale situazione apre a scenari preoccupanti su vari fronti. Un primo scenario potrebbe essere quello di un crescente flusso di migranti che si dirigono verso l’Europa con tutti i problemi sanitari, sociali e di sicurezza collegati a questo evento. Un secondo scenario riguarda la possibilità che il Paese torni a essere un terreno fertile per organizzazioni terroristiche a carattere globale come lo fu al-Qaeda. Da questo punto di vista la situazione afghana si presenta particolarmente variegata perché sul terreno operano vari gruppi spesso anche in conflitto tra loro. Quello che forse al momento preoccupa maggiormente è lo Stato Islamico della provincia del Khorasan, IS-KP, e questo per due ragioni principali.
In primo luogo uno degli elementi distintivi dello Stato Islamico è sempre stato quello di avere una vocazione globale, pur radicandosi territorialmente in varie aree, sfidando l’ordine e gli equilibri del sistema internazionale. In seconda battuta, pur essendo vero che lo Stato Islamico come lo abbiamo conosciuto nel 2014-2015 in Iraq, Siria, Libia è oggi stato sconfitto, è altrettanto vero che gli attori, la rete logistica e l’ideologia sottostante sono ancora presenti in quei territori e non solo. Nei mesi recenti non sono stati rari gli attacchi condotti da cellule appartenenti a IS in Iraq e operazioni di contrasto continuano a registrarsi in Sinai e Libia. Senza poi dimenticare le capacità operative sviluppare in Africa e in particolare nel Sahel dove il gruppo può operare con una certa libertà sfruttando la vastità di quei territori. IS quindi è stato indubbiamente sconfitto militarmente nelle sue roccaforti storiche in Medio Oriente, Mosul e Raqqa, perdendo di conseguenza il territorio che controllava, ma non è stato politicamente eliminato perché resta una minaccia costante in quelle aree e altrove.
Rispetto all’evoluzione del quadro afghano, la Fondazione ICSA ha elaborato un lavoro di ricerca (autore Filippo G. Tiburtini, analista della Fondazione ICSA) che, attraverso un’attenta analisi di dati da varie fonti accompagnata dalla ricostruzione del quadro afghano in cui si inserisce, offre uno spaccato approfondito di quelle che sono oggi le capacità operative di IS-KP, il gruppo di IS in Afghanistan.
Si tratta di un documento molto dettagliato sullo sviluppo di questa formazione in Afghanistan e sui suoi principali punti di forza, uno studio analitico che mette in luce un tema importante per la sicurezza internazionale, ma anche per quella italiana visto che il nostro Paese non solo ha impiegato ingenti risorse militari, politiche ed economiche in Afghanistan, ma si trova da anni in prima linea nel contrasto al terrorismo internazionale. Il lavoro di Tiburtini si presenta quindi come un efficace strumento per capire meglio il gruppo e la minaccia che rappresenta, oltre che un modo puntuale per riempire un vuoto di conoscenze su un tema centrale ma ancora poco analizzato.
L’analisi di Tiburtini costituirà parte integrante di una ricerca più ampia che l’Osservatorio ICSA per la Sicurezza nel Mediterraneo (OISMed) pubblicherà prossimamente, diretta ad analizzare il problema della persistenza di IS e delle dinamiche che potrebbero favorirne un suo ritorno nei vari scenari globali. Uno studio specifico in ordine ai vari teatri di crisi in grado di mettere in luce quali siano le aeree più a rischio e le dinamiche che potrebbero consentire al gruppo di riguadagnare spazi sia politici sia geografici.